La carbonaia

Fin dai tempi antichi, il carbone di legna è stato ottenuto tramite il procedimento particolare della carbonaia. Questa operazione richiedeva molto lavoro e conoscenza tecnica.

In Garfagnana, il carbone veniva fatto normalmente di castagno, faggio e quercia e in base al tipo di legname variava anche il suo utilizzo. In Garfagnana fino al 1847 come riportato dalla statistica generale degli Stati Estensi del Dott. C. Roncaglia, esistevano ben quindici ferriere in cui fondevano il ferro grezzo con carbone di legna. Sappiamo da antichi documenti, che gli arceri di Pescia volevano per le loro balestre, l’acciaio della Garfagnana fatto con il carbone di castagno.

Per allestire una carbonaia, in primo luogo veniva scelto un piccolo spazio pianeggiante, quando il bosco lo permetteva, altrimenti si scavava, a monte buttando la terra a valle in modo da formare il “pianello”: tutto questo ovviamente all’interno del bosco tagliato a tale scopo.

Nel centro del pianello, venivano piantati quattro pali a circa cinquanta centimetri l’uno dall’altro e legati con un paio di cerchi fra di loro per formare il camino della carbonaia. Poi i carbonari iniziavano a mettere tutto intorno nel senso verticale, la legna tagliata a pezzi uguali nella lunghezza, in tre file sovrastanti una sull’altra, per un diametro di circa cinque-sette metri, con una altezza di tre. Così il tutto prendeva la forma di una cupola.

Finita l’operazione dell’accatastamento della legna, i carbonari procedevano, coprendo la massa con pellicce di terra ed erba fino al primo metro di altezza, da li in poi con foglie, bagnando il tutto e ricoprendo di terra fine, battuta con la pala per fissarla bene.

A fine di tutte queste operazioni, iniziava il procedimento di cottura, accendendo il fuoco in cima al fornello, nella parte più alta della carbonaia e alimentando con legna fine ogni tyre ore circa, per due giorni.

Veniva poi ricolmato il fornello con una lamiera e terra ad ogni rimboccatura. Sempre alla fine del secondo giorno, venivano praticati quattro fori con un bastone interno alla base della carbonaia per dare aria al fornello interno, curandosi di chiudere definitivamente la parte superiore dello stesso con terra. Il terzo giorno i carbonari cominciavano a fare dei fori concentrici sempre con l’aiuto di un bastone, partendo dall’alto verso il basso per circa un metro e mezzo di altezza per favorire la cottura della legna.

Ogni qualvolta che da un foro usciva il fumo chiaro, voleva dire che in quel punto la legna era cotta e al di sotto di esso ne veniva riaperto un altro, fino al completamento della cottura di tutta la carbonaia.

Verso il sesto giorno terminato il procedimento della cottura, veniva fatta la “smondatura” cioè con un grosso rastrello dai denti di legno molto lunghi, venivano tolte le pellicce che coprivano la parte più bassa della carbonaia e successivamente si scoprivano piccole parti della copertura, per poi ricoprirla subito dopo e spengerla definitivamente. Per tale operazione occorrevano almeno due giorni, controllando costantemente che la carbonaia non riprendesse fuoco. Subito dopo , iniziava la scarbonatura, usando sempre il solito rastrello; disfacevasi la carbonaia, formando due grandi cerchi di carbone con pezzatura più piccola al centro e quella più grande all’esterno.

La percentuale di carbone che ne usciva era di circa un sesto, cioè su sei quintali di legna si ricavavano un quintale di carbone.

Infine, per ultimo, il carbone veniva imballando in grandi sacchi di iuta e trasportato a destinazione a spalla o dorso di mulo.

Dal libro di Ivo Poli “Del Castagno in Garfagnana Storia coltura poesia”.

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