La coltivazione del castagno da frutto in Italia, risale presumibilmente molti secoli A.C. ma la vera coltivazione ebbe inizio intorno al 1100 nel periodo dell’evoluzione demografica dei territori sub montani.
Storicamente molti scrittori ci riportano testimonianze, da Plinio, Columella, Virgilio, e molti altri. Plinio riporta i culti femminili della grande madre CIBELE di cui era proibito in un certo periodo dell’anno, alle donne per quindici giorni l’uso dei cereali e sostituiti con il pane di castagne.
L’essicazione delle castagne, da sempre è avvenuta nei metati (seccatoi) cioè in strutture atte a contenere il mucchio (dal latino Meta) delle castagne messe ad asciugare sopra al fuoco. A noi oggi i metati sono pervenuti come costruzioni in muratura, generalmente sparsi nei castagneti, di ampiezza variabile, a metà altezza divisi da un solaio a stecche di legno poste una vicino all’altra, il “canniccio", sopra il quale vengono stese le castagne. Sotto si fa un fuoco leggero, senza fiamma, con ciocchi di castagno e il fumo salendo attraversa le castagne asciugandole a poco a poco. Dopo circa 40 giorni nel metato i frutti sono secchi e possono essere sgusciati. Le castagne essiccate venivano trasformate in farina nei mulini principalmente azionati con la forza dell’acqua. La farina di castagne, comunemente era chiamata farina dolce, veniva cucinata in vari modi: Per lo più consumata come polenta oppure cotta nel latte o in forno con olio e guarnita con noci come “castagnaccio”. Ma il vero protagonista delle mense montanare era il “neccio o ciccio”, una schiacciatella ottenuta dalla cottura fra due testi di ferro o fra piastre sovrapposte di terracotta, con un impasto fatto semplicemente con farina di castagne, acqua e un pizzico di sale.
Nel corso dei secoli le vicissitudini delle popolazioni della montagna ma anche delle zone più a valle, siano state profondamente legate al castagno tanto che questa pianta, come tanti autori hanno affermato, ha fatto nascere attorno a sé una civiltà: < la civiltà del castagno>.
Dalla fine degli anni ’50, anche in queste zone, il castagno ha subito un forte regresso durante il quale si è assistito allo spopolamento della montagna, al cambiamento delle abitudini alimentari con forte deprezzamento della farina di castagne e non ultimo all’insorgere di gravi fitopatie che hanno ridotto sensibilmente il patrimonio castanicolo. Ma dai primi anni novanta si è vista una ripresa e ogni anno sempre maggiore, indirizzata soprattutto alla produzione di farina di castagne, che principalmente nelle zone montane e collinari delle provincie toscane e non solo,con il sorgere di nuove Associazioni di castanicoltori è stata valorizzata non solo come piatti tradizionali, ma in una infinità di ricette dolci e salate.